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Perché una sessione di coaching?

Una sessione di coaching? A che serve?

Una delle domande che mi fanno più spesso quando propongo una sessione di coaching a qualcuno che non ha mai utilizzato tecniche o strumenti di questo tipo è: “Ma è sufficiente una sola sessione?”.

Certo, ci sarebbe molto da dire, ma la risposta che do più spesso è “Se tu vuoi, si!”.

Presunzione? Manipolazione? Futili promesse? Marketing scorretto?

Niente di tutto questo. È proprio così. Se uno vuole, basta una sola sessione.

A fare che?  A cambiarti la vita? A risolvere il problema che ci si porta appresso da decenni? A trovare le risorse che in anni stai cercando inutilmente? Se fosse così semplice, il coaching sarebbe dilagante. In effetti lo è. Un numero di persone che cresce esponenzialmente utilizza il coaching per la propria vita personale o per quella professionale. In un numero sempre maggiore di settori produttivi il coaching fa la differenza (basti pensare a cosa sta succedendo in questi ultimi anni nello sport).

Quindi, in effetti è proprio così semplice nonostante si possa pensare che se una cosa non è complicata allora non può portare a grandi risultati.

Da cosa dipende allora l’efficacia della sessione?

I fattori sono essenzialmente due: dal Coach e dal Coachee (il cliente che usufruisce dei servizi di coaching).

E la prima cosa da tenere in conto è che il Coach ed il Coachee non sono due persone che si ritrovano a bere una birra al bar per fare due chiacchere e stare meglio. Per quello ci sono gli amici che qualche volta funzionano alla grande!

Secondo, il Coach non è nemmeno qualcuno che ti dice “come devi fare” o che addirittura lo fa al posto tuo.

Terzo, se tu pensi che sia tempo perso o che “adesso voglio proprio vedere che succede” e aspetti che qualcosa su cui non hai nessuna responsabilità succeda per cambiare la situazione, allora sarà tempo (e denaro) perso e ciò che cambierà non riguarderà te e la tua situazione.

Un Coach professionalmente preparato sa quali tecniche e quali strumenti utilizzare e lo fa con il solo scopo di portare il Coachee al risultato che desidera ottenere. Qualunque risultato.

Ora, può succedere che tu ottenga il risultato che hai chiesto e, quando ne sei consapevole, ti accorga che in effetti non era quello che volevi? Spesso capita proprio così. Sapere cosa si vuole veramente non è scontato.

Vorrei dormire di più” diventa “Vorrei essere più sereno”, che diventa “Vorrei non pensare a quella situazione”, che diventa “Vorrei non litigare con quella persona”, che diventa “ Vorrei sentirmi felice”, che diventa “Voglio fare ciò che mi appassiona”, che diventa “Vorrei avere il coraggio per licenziarmi”, che diventa “Vorrei stare meglio con me stesso”, che diventa…

In questo giro al luna park in cui vorremo poter salire in tutti i giochi siamo attratti da luci e suoni che ci confondono e che ci fanno perdere di vista il tempo (che passa) e le risorse (che si consumano) mentre scegliamo senza scegliere. Consapevoli che poi, prima o poi, torneremo alle nostre vite di sempre con l’amaro in bocca di aver fatto solo qualche giro in più.

E allora?

Allora il coaching serve proprio a questo: fare chiarezza e sapere con certezza che cosa voglio, come lo voglio e cosa sono disposto a fare per averlo e poi ottenerlo.

Perché una volta che decidi di ascoltare ciò che ti dici da un sacco di tempo e a cui invece non vuoi prestare attenzione, tutto diventa più semplice e fattibile, anche le cose apparentemente più difficili o quelle che credi siano impossibili.

Come ho detto prima, una sessione di coaching non è una chiacchierata alla ricerca di un sollievo effimero e passeggero. È un decreto in carta da bollo, un atto ufficiale, una dichiarazione solenne che produce degli effetti irreversibili. Quando firmi un rogito e diventi il proprietario di una casa; questo produce effetti irreversibili, nel bene e nel male, con costi e vantaggi, e se lo fai è perché sai quello che vuoi e quello che vuoi è quella casa. E, nella totalità dei casi, non lo fai mai “solo per vedere l’effetto che fa”.

Quando fai una sessione di coaching, se hai capito il paragone, diventi il proprietario di qualcosa che non era tuo (un pezzo di vita, una parte di te, una serie di risorse interiori…) che cambia irreversibilmente la tua realtà e ti fa ottenere ciò che hai scelto di ottenere.

Ora, sei tu che dai il valore a ciò che desideri, a ciò che sei disposto a fare. Ma sinché questo valore non fa parte di un “contratto” che fai con te stesso, rimane lì, nei tuoi sogni o nel cassetto dei desideri irrealizzabili.

Una sessione di coaching è sempre il luogo e il tempo di fare quel tipo di contratto. Sempre, qualunque sia il valore in gioco. E se lo vuoi, è ciò che avrai al termine della sessione. Sempre.

Mindset: ottenere un cambiamento efficace

essere leader è pensare da leader

Come ottenere un cambiamento efficace? Nel 2018, l’era geologica prima del COVID-19, in un articolo sull’Harvard Business Review1, Tony Schwartz, CEO di The Energy Project, riportava i dati di una ricerca iniziata qualche anno prima coinvolgendo un centinaio di CEO di aziende operanti in diversi settori. La prima domanda a loro rivolta era relativa a quante aziende fossero coinvolte in un processo di trasformazione. Quasi tutti risposero positivamente. In seguito, lo studio più approfondito dimostrò che circa l’85% delle aziende campione era coinvolto in una fase di trasformazione aziendale e di riconfigurazione del proprio business.

Nel monitorare il grado di “successo” delle attività di trasformazione è sorprendentemente emerso che circa il 75% delle aziende che erano coinvolte in tali processi, avevano già manifestato, nel breve o nel medio-lungo periodo, il fallimento nel raggiungere l’incremento di performance atteso.

Nasceva spontaneamente una domanda: perché è così difficile per le aziende effettuare una trasformazione efficace?

La riflessione verteva sul fatto che tra le tante potenziali spiegazioni, quella che viene maggiormente sottovalutata è probabilmente quella fondamentale. Anche quando si è consapevoli che le persone utilizzano comportamenti e dinamiche che non sono efficaci o che sono addirittura dannose, la paura (strettamente legata all’ansia) e l’insicurezza rendono impossibile il cambiamento. A questo si somma il fatto che l’ansia, per quasi tutti gli esseri umani, è un’emozione che si sperimenta proprio nelle fasi di cambiamento.

Nonostante questo, la maggior parte delle organizzazioni si concentra nella definizione e nell’implementazione di strategie e di dinamiche organizzative, produttive ed economiche. Molto meno verifica cosa (e come) i dipendenti, la dirigenza, i teams “sentano e pensino” quando viene chiesto loro di attuare la trasformazione. La resistenza, specialmente quando è passiva, invisibile e inconscia, può far fallire anche la migliore strategia.

Trasformare efficacemente l’azienda

La trasformazione di un’azienda dipende quindi sostanzialmente dalla trasformazione degli individui, a cominciare dai leader e dagli influencer più anziani. Dalla ricerca è emerso che pochi di loro hanno affermato di aver investito tempo osservando e comprendendo le proprie motivazioni. Pochissimi hanno messo in discussione le proprie convinzioni o si sono spinti oltre la propria “zona di comfort” intellettuale ed emotivo. Il risultato è ciò che, da diversi psicologi, viene definito come “immunità al cambiamento”, quella resistenza che impedisce alla trasformazione di avere successo.

Questo è uno degli aspetti fondamentali dello studio e della gestione del mindset. Da circa due decenni2, gli studi sul mindset rappresentano una delle maggiori innovazioni sia nel campo della crescita personale che nelle mondo del business. Il punto è come gli individui possano gestire consapevolmente la propria “forma mentis” per ottenere un cambiamento efficace.

Infatti, non è sufficiente essere coscienti delle implicazioni che ha il modo di pensare dei singoli individui sulle performance e sulla possibilità di affrontare nuove sfide e cambiamenti. La vera questione è come misurarlo, come averne una valutazione oggettiva e scientifica per poterlo modificare e adeguare alle necessità ed agli obiettivi identificati.

Il cambiamento efficace con Success Mindset Maps

In questo, la metodologia sviluppata da Mindset Maps International3 è il primo e più efficace strumento messo a disposizione delle aziende proprio per raggiungere questo risultato.

E lo è ancora di più oggi, quando il cambiamento non è più un’opzione, ma una necessità. Non solo per le evoluzioni dei mercati e per la complessità, sempre maggiore, delle dinamiche sociali ed economiche. Il COVID ha oramai completamente stravolto gli assetti, gli obiettivi, le procedure, le dinamiche aziendali, gli schemi produttivi, la capacità di gestire il personale. Ancora di più, incide sulle prospettive di crescita o di permanenza nel mercato.

 Oggi, più che mai, è necessario avere strumenti adeguati per ottenere un cambiamento efficace e affrontare sfide non più rinviabili. Queste implicano la conoscenza dei fattori essenziali per una trasformazione efficace, per un cambiamento inevitabile e non più procrastinabile. Attraverso lo strumento del Mindset Maps si può avere una costante valutazione del mindset dei propri dipendenti, dei leaders aziendali, del personale che ricopre ruoli cardine nell’impresa. Attraverso un’azione strutturata e sistemica, si arriva alla definizione di quale mindset sia più efficace per affrontare il cambiamento per quel ruolo, quella situazione e quello specifico obiettivo. Successivamente, si è in grado di realizzarlo con efficacia, avendo la possibilità di monitorarne costantemente gli effetti e ottimizzando le proprie risorse.

Logo MindsetMaps International

  1. https://hbr.org/2018/06/leaders-focus-too-much-on-changing-policies-and-not-enough-on-changing-minds
  2. Uno dei primi studi sistemici sul mindset è quello effettuato dalla psicologa e ricercatrice Carol Dweck, pubblicato nel 2006  in “Mindset: The New Psychology of Success”
  3. THE SUCCESS MINDSETMAP™ (mindset-maps.com)

Il sole di un nuovo giorno

La consapevolezza e la gratitudine creano la nostra realtà.

Da qualche giorno si è concluso a Milano l’evento di Coaching previsto nel percorso “I AM, Essere è una scelta” che ha assorbito gran parte del mio tempo in quest’ultimo anno. È stata un’esperienza formidabile, ricca di emozioni e di soddisfazioni, di crescita, di relazioni e scoperte, di amore ed amicizia. È stato il meglio di ciò che pensavo, di ciò che immaginavo, perché è diventato realtà.

Dal profondo ringrazio Alessia Mortilla e l’Istituto The Mind of The Child che mi ha permesso di essere protagonista in questa avventura. Ad Alessia va anche il mio ringraziamento per ciò che sono diventato in termini professionali, come Coach e come formatore, così come in termini profondamente umani come persona, nella sua interezza, e come essere nella sua infinita complessità e straordinaria unicità.

Ora si aprono per me nuovi orizzonti, un cammino differente che mi porterà al raggiungimento di tante altre mete. Per me come individuo; per Laura, Carola e Francesca e per coloro con cui avrò l’opportunità di operare e di crescere, rendendo agli altri ciò che è stato dato a me.

La consapevolezza e la gratitudine creano la nostra realtà. La consapevolezza di ciò che è stato, di ciò che è e di ciò che sarà è il motivo per cui condivido questi pensieri, le mie speranze e le mie certezze con voi che mi avete seguito fin qui. Per questo, la gratitudine che provo ora è anche per voi che, con un semplice pensiero, siete nella mia vita per darle colore e luce.

Mi piacerebbe, ma non posso

glass ball

Ormai ho perso la percezione di quante volte ho sentito questa frase, detta da centinaia di persone, detta con le stesse parole, con la stessa intonazione. È un’intonazione diversa da chi la dice al posto di “non mi piacerebbe, ma non voglio deluderti”.

Mi piacerebbe, ma non posso” è quando la mente vede, sente e percepisce il risultato: lo desidera, lo verrebbe raggiungere, rendere reale. Ecco. Mi piacerebbe. L’utilizzo del condizionale rivela il mondo interiore.

Mi piacerebbe… e un cristallo, come una vetrina o un acquario, separa ciò potrebbe essere da ciò che sarà. Si materializza la barriera, il muro, l’ostacolo. A volte cambia, a volte è lo stesso. Per tanti è lo stesso.

Mi piacerebbe, ma… La mente vede, sente e percepisce il risultato che si allontana, sfuggente, etereo e impossibile. Prima del risultato c’è qualcosa di indesiderato e offensivo, triste e frustrante; a volte impenetrabile, a volte talmente avvolgente da non poterne più uscire.

Non posso… Svanisce ogni cosa, ogni desiderio, ogni speranza. Ora, in questo momento, in questo preciso momento della vita in cui voglio, non posso.

Cosa rende impossibile ciò che ci piacerebbe? Perché mai dovrebbe piacerci l’impossibile? Proprio perché è impossibile? Se fosse possibile ci piacerebbe allo stesso modo?

Al di la del dato statistico, ciò che mi ha molto colpito è che no, ciò che piace è quasi sempre ciò che potrebbe essere possibile. Ho continuato a chiedere alle persone cosa rendesse impossibile raggiungere quel particolare risultato e, praticamente e per ciascuno, è qualcosa che veramente potrebbe essere. Richiede sforzi, fiducia, lavoro, pazienza, attenzione, rinunce, costanza, azione, accettazione, volontà, ascolto… una di queste, molte insieme, altre differenti. Tutte, e proprio tutte, possibilmente utilizzabili, tutte disponibili e sufficienti in ciascuno.

Eppure, tutte non completamente utilizzate, qualcuna lasciata in un angolo della memoria (quando avrei potuto), qualcuna invisibile fino a quando la semplice domanda “cosa ti servirebbe?” la illumina e ne rende possibile la percezione.

Davanti all’evidenza che l’impossibile è invece possibile, tanti continuano a tornare indietro. Il muro si è sgretolato, l’acquario si è trasformato in un limpido mare in cui immergersi. Con un grande sforzo, poderosa fiducia in sé, lavoro certosino, pazienza, cura e attenzione, pervicacia e volontà ricostruiscono il muro, riposizionano l’ostacolo che loro stessi hanno superato, mentre si rinchiudono dentro l’acquario che li lascia fuori dal mondo. Desiderano che ciò che hanno sentito per loro possibile, ritorni ad essere impossibile; come se ottenerlo significasse perdersi.

Con un grande sforzo dichiarano che non sono capaci di fare sforzi, con pazienza descrivono e analizzano la propria impazienza (che per loro è ciò che li caratterizza), mentre con una volontà ferrea vogliono dimostrare di essere privi di volontà, con una cieca fiducia affermano che non ci si piò fidare, con una costanza infinita si ripetono di essere scostanti e inaffidabili.

Pochi riescono a guardarsi mentre giocano a questo gioco interiore e, facendolo, imparano a riderne di gusto. A tuffarsi nel mare limpido e a riprendersi la vita che vogliono.

Mi piacerebbe, e quindi è per me! Ora, in questo preciso momento della vita in cui voglio, posso.

E così sia.

Il destino di essere se stessi

metafora

La sofferenza di tante persone è nel sentirsi non adatte al mondo in cui vivono.
Fanno grandi sforzi ed immensi sacrifici per adattarsi ed essere accettati, apprezzati, considerati, accolti.
Stranamente, continuano a sentirsi sofferenti e non sanno il perché.
Pochi tra loro si accorgono che il mondo intorno non è quello che vogliono, che lo ritengono malato, ingiusto, indifferente.
E scoprono che la loro vera sofferenza è non essere stati se stessi per troppo tempo, impegnati a farsi accettare, apprezzare, considerare, accogliere.
Appena ritornano ad essere coloro che sono sempre stati e che sempre saranno, la sofferenza scompare e, anche se il mondo intorno a loro rimane malato, ingiusto ed indifferente, loro sono felici.
E, senza saperlo, cambiano il mondo.

Che cosa fa la differenza nei servizi di Coaching?

Fare la differnza

Le persone, tutte le persone, si pongono degli obiettivi, vogliono raggiungere dei risultati. Tutte le persone vogliono trasformare i propri desideri in realtà.

Alcune pensano di riuscirci, altre che sarà difficile, altre che sarà molto difficile, altre ancora che sarà impossibile e vivono una vita fatta di desideri irrealizzati e di realtà indesiderata.

Cosa desideriamo che è impossibile da realizzare? E perché lo desideriamo?

Qualcuno desidera cose per sé impossibili proprio perché così è certo che non potrà raggiungere l’obiettivo. Questo rende insoddisfatti ma certi; certi anche che non sarà necessario sforzarsi, né lottare, né faticare. È un modo per stare “comodi” nella propria zona di comfort, in ciò che non piace ma che conosciamo talmente bene che ormai è “per noi”.

Utilizzare le tecniche del Coaching è molto utile per rendere definiti gli obiettivi, per farli percepire come raggiungibili e desiderati. Serve per capire se “ci stiamo ingannando” nell’inseguire qualcosa che in effetti non ci appartiene e non ci apparterrà neanche quando la conseguiremo. Serve per fare chiarezza e approfondire ciò che in noi ci spinge a desiderare e a fare per ottenerlo.

Bello e utile. Ed è sempre così? Anche no.

Quando si interviene sulle percezioni, sugli stati d’animo e sulle sensazioni, può capitare, se si è insufficientemente preparati, che ciò che sembra risolutivo o appagante, col tempo ritorni ad essere superfluo o insignificante; qualche volta, purtroppo, anche indesiderato o doloroso.

La prima differenza tra un servizio di Coaching erogato con uno standard di qualità e uno erogato “a sentimento” sta proprio nella durata degli effetti nel tempo e nella consistenza dei risultati raggiunti.

Una cosa è far percepire il miglioramento, altra è far raggiungere l’obiettivo. Una cosa è far intuire e far fare il passo successivo, altra far percorrere l’intero cammino verso la vetta.

Nel momento presente entrambi gli effetti sono positivi e motivanti, fanno percepire la possibilità di poter essere ciò che si desidera essere e raggiungere ciò che si desidera ottenere.

Poi, in un tempo più o meno lungo, non solo si perde questa percezione, ma addirittura si mette in dubbio la strada intrapresa rispetto al fatto di sentirsi invece ancora più motivati e sicuri di ciò che si è scelto.

Questa differenza emerge con sempre maggiore forza in un mercato in cui il Coaching si sta diffondendo sempre più rapidamente. Da cosa dipende? Sola dalla qualità del Coach? Dalle tecniche utilizzate? Anche dalla tipologia degli obiettivi scelti? Che cosa fa veramente la differenza?

Innanzi tutto, la profonda conoscenza della materia, non solo delle tecniche o delle procedure. Un grande amore per ciò che si fa, tanto che “lo farei a me stesso o alle persone a cui tengo di più”.

Poi il rispetto per l’interlocutore, rispetto che nasce dalla chiarezza di ciò che si propone, di come realizzarlo, condividendo passo passo tutti gli aspetti, illustrando le possibili difficoltà, sostenendo gli sforzi e i passi incerti.

Ancora, l’essere congruenti tra ciò che si dice di essere e ciò che si è, tra ciò che si propone di fare e ciò che si fa. Allo stesso tempo è necessario il rispetto delle regole e delle norme, della professionalità e del modo con cui si esercita.

Quando tutto questo è fatto nell’ottica di garantire uno standard qualitativo riconosciuto e certificato, allora si comincia a fare la, sostanziale, differenza. Ed è ciò che fa la differenza che rende un’iniziativa un successo o un fallimento. È ciò che fa la differenza a tenere aperta un’azienda o a dichiararla fallita. È ciò che fa la differenza a stabilire se un Coach merita di essere ingaggiato o allontanato. Fare la differenza fa la differenza. Perché è ciò che ci rende differenti il motivo per cui diventiamo unici e irripetibili. Ed è ciò che le persone, tutte tutte, vorrebbero essere…