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Perché una sessione di coaching?

Una sessione di coaching? A che serve?

Una delle domande che mi fanno più spesso quando propongo una sessione di coaching a qualcuno che non ha mai utilizzato tecniche o strumenti di questo tipo è: “Ma è sufficiente una sola sessione?”.

Certo, ci sarebbe molto da dire, ma la risposta che do più spesso è “Se tu vuoi, si!”.

Presunzione? Manipolazione? Futili promesse? Marketing scorretto?

Niente di tutto questo. È proprio così. Se uno vuole, basta una sola sessione.

A fare che?  A cambiarti la vita? A risolvere il problema che ci si porta appresso da decenni? A trovare le risorse che in anni stai cercando inutilmente? Se fosse così semplice, il coaching sarebbe dilagante. In effetti lo è. Un numero di persone che cresce esponenzialmente utilizza il coaching per la propria vita personale o per quella professionale. In un numero sempre maggiore di settori produttivi il coaching fa la differenza (basti pensare a cosa sta succedendo in questi ultimi anni nello sport).

Quindi, in effetti è proprio così semplice nonostante si possa pensare che se una cosa non è complicata allora non può portare a grandi risultati.

Da cosa dipende allora l’efficacia della sessione?

I fattori sono essenzialmente due: dal Coach e dal Coachee (il cliente che usufruisce dei servizi di coaching).

E la prima cosa da tenere in conto è che il Coach ed il Coachee non sono due persone che si ritrovano a bere una birra al bar per fare due chiacchere e stare meglio. Per quello ci sono gli amici che qualche volta funzionano alla grande!

Secondo, il Coach non è nemmeno qualcuno che ti dice “come devi fare” o che addirittura lo fa al posto tuo.

Terzo, se tu pensi che sia tempo perso o che “adesso voglio proprio vedere che succede” e aspetti che qualcosa su cui non hai nessuna responsabilità succeda per cambiare la situazione, allora sarà tempo (e denaro) perso e ciò che cambierà non riguarderà te e la tua situazione.

Un Coach professionalmente preparato sa quali tecniche e quali strumenti utilizzare e lo fa con il solo scopo di portare il Coachee al risultato che desidera ottenere. Qualunque risultato.

Ora, può succedere che tu ottenga il risultato che hai chiesto e, quando ne sei consapevole, ti accorga che in effetti non era quello che volevi? Spesso capita proprio così. Sapere cosa si vuole veramente non è scontato.

Vorrei dormire di più” diventa “Vorrei essere più sereno”, che diventa “Vorrei non pensare a quella situazione”, che diventa “Vorrei non litigare con quella persona”, che diventa “ Vorrei sentirmi felice”, che diventa “Voglio fare ciò che mi appassiona”, che diventa “Vorrei avere il coraggio per licenziarmi”, che diventa “Vorrei stare meglio con me stesso”, che diventa…

In questo giro al luna park in cui vorremo poter salire in tutti i giochi siamo attratti da luci e suoni che ci confondono e che ci fanno perdere di vista il tempo (che passa) e le risorse (che si consumano) mentre scegliamo senza scegliere. Consapevoli che poi, prima o poi, torneremo alle nostre vite di sempre con l’amaro in bocca di aver fatto solo qualche giro in più.

E allora?

Allora il coaching serve proprio a questo: fare chiarezza e sapere con certezza che cosa voglio, come lo voglio e cosa sono disposto a fare per averlo e poi ottenerlo.

Perché una volta che decidi di ascoltare ciò che ti dici da un sacco di tempo e a cui invece non vuoi prestare attenzione, tutto diventa più semplice e fattibile, anche le cose apparentemente più difficili o quelle che credi siano impossibili.

Come ho detto prima, una sessione di coaching non è una chiacchierata alla ricerca di un sollievo effimero e passeggero. È un decreto in carta da bollo, un atto ufficiale, una dichiarazione solenne che produce degli effetti irreversibili. Quando firmi un rogito e diventi il proprietario di una casa; questo produce effetti irreversibili, nel bene e nel male, con costi e vantaggi, e se lo fai è perché sai quello che vuoi e quello che vuoi è quella casa. E, nella totalità dei casi, non lo fai mai “solo per vedere l’effetto che fa”.

Quando fai una sessione di coaching, se hai capito il paragone, diventi il proprietario di qualcosa che non era tuo (un pezzo di vita, una parte di te, una serie di risorse interiori…) che cambia irreversibilmente la tua realtà e ti fa ottenere ciò che hai scelto di ottenere.

Ora, sei tu che dai il valore a ciò che desideri, a ciò che sei disposto a fare. Ma sinché questo valore non fa parte di un “contratto” che fai con te stesso, rimane lì, nei tuoi sogni o nel cassetto dei desideri irrealizzabili.

Una sessione di coaching è sempre il luogo e il tempo di fare quel tipo di contratto. Sempre, qualunque sia il valore in gioco. E se lo vuoi, è ciò che avrai al termine della sessione. Sempre.

Nasce MindsetMaps Italy

Cosa è MindsetMaps Italy? Da ieri siamo ufficialmente i partner italiani di MindsetMaps InternationalTM.

Entro la fine di quest’anno realizzeremo la prima Faculty in italiano per chi si vorrà specializzare come Coach. Nella prima edizione saranno presenti anche Robert Dilts e Mickey Feher.

I partecipanti saranno abilitati all’utilizzo di questo innovativo e potente strumento per le proprie sessioni, gestione delle risorse, coaching aziendale e tanto altro ancora.

Le prime ricerche sul mindset, sulle sue implicazioni e sui diversi approcci per utilizzarlo al meglio sono state effettuate nelle università americane nei primi anni 2000.

Oggi la gestione del mindset è l’elemento che fa la differenza in ambienti, situazioni, realtà personali e professionali molto diversi tra loro. Avere capacità e strumenti per operare in questo settore è fondamentale, soprattutto nei tempi di incertezza e cambiamento che stiamo vivendo oggi.

Prossimamente avrete più informazioni su MindsetMaps Italy, soprattutto riguardo allo sviluppo della Faculty e alle possibilità immediate di utilizzare MindsetMaps nella vostra realtà oggi.

Un grazie di cuore a Robert Dilts e a Micky Feher che hanno creduto nella possibilità che anche in Italia si potesse realizzare una Faculty e una struttura in lingua madre. È per me un grande orgoglio e fonte di grande entusiasmo poter collaborare con loro.

L’obiettivo è diffondere non solo un potente ed efficace strumento, ma un diverso approccio e una diversa cultura su come valorizzare le risorse che ciascuno possiede.

Infine, sono felice di far parte ed ampliare una comunità internazionale di professionisti che vogliono creare un futuro ricco di prospettive a livello mondiale.

Mindset: ottenere un cambiamento efficace

essere leader è pensare da leader

Come ottenere un cambiamento efficace? Nel 2018, l’era geologica prima del COVID-19, in un articolo sull’Harvard Business Review1, Tony Schwartz, CEO di The Energy Project, riportava i dati di una ricerca iniziata qualche anno prima coinvolgendo un centinaio di CEO di aziende operanti in diversi settori. La prima domanda a loro rivolta era relativa a quante aziende fossero coinvolte in un processo di trasformazione. Quasi tutti risposero positivamente. In seguito, lo studio più approfondito dimostrò che circa l’85% delle aziende campione era coinvolto in una fase di trasformazione aziendale e di riconfigurazione del proprio business.

Nel monitorare il grado di “successo” delle attività di trasformazione è sorprendentemente emerso che circa il 75% delle aziende che erano coinvolte in tali processi, avevano già manifestato, nel breve o nel medio-lungo periodo, il fallimento nel raggiungere l’incremento di performance atteso.

Nasceva spontaneamente una domanda: perché è così difficile per le aziende effettuare una trasformazione efficace?

La riflessione verteva sul fatto che tra le tante potenziali spiegazioni, quella che viene maggiormente sottovalutata è probabilmente quella fondamentale. Anche quando si è consapevoli che le persone utilizzano comportamenti e dinamiche che non sono efficaci o che sono addirittura dannose, la paura (strettamente legata all’ansia) e l’insicurezza rendono impossibile il cambiamento. A questo si somma il fatto che l’ansia, per quasi tutti gli esseri umani, è un’emozione che si sperimenta proprio nelle fasi di cambiamento.

Nonostante questo, la maggior parte delle organizzazioni si concentra nella definizione e nell’implementazione di strategie e di dinamiche organizzative, produttive ed economiche. Molto meno verifica cosa (e come) i dipendenti, la dirigenza, i teams “sentano e pensino” quando viene chiesto loro di attuare la trasformazione. La resistenza, specialmente quando è passiva, invisibile e inconscia, può far fallire anche la migliore strategia.

Trasformare efficacemente l’azienda

La trasformazione di un’azienda dipende quindi sostanzialmente dalla trasformazione degli individui, a cominciare dai leader e dagli influencer più anziani. Dalla ricerca è emerso che pochi di loro hanno affermato di aver investito tempo osservando e comprendendo le proprie motivazioni. Pochissimi hanno messo in discussione le proprie convinzioni o si sono spinti oltre la propria “zona di comfort” intellettuale ed emotivo. Il risultato è ciò che, da diversi psicologi, viene definito come “immunità al cambiamento”, quella resistenza che impedisce alla trasformazione di avere successo.

Questo è uno degli aspetti fondamentali dello studio e della gestione del mindset. Da circa due decenni2, gli studi sul mindset rappresentano una delle maggiori innovazioni sia nel campo della crescita personale che nelle mondo del business. Il punto è come gli individui possano gestire consapevolmente la propria “forma mentis” per ottenere un cambiamento efficace.

Infatti, non è sufficiente essere coscienti delle implicazioni che ha il modo di pensare dei singoli individui sulle performance e sulla possibilità di affrontare nuove sfide e cambiamenti. La vera questione è come misurarlo, come averne una valutazione oggettiva e scientifica per poterlo modificare e adeguare alle necessità ed agli obiettivi identificati.

Il cambiamento efficace con Success Mindset Maps

In questo, la metodologia sviluppata da Mindset Maps International3 è il primo e più efficace strumento messo a disposizione delle aziende proprio per raggiungere questo risultato.

E lo è ancora di più oggi, quando il cambiamento non è più un’opzione, ma una necessità. Non solo per le evoluzioni dei mercati e per la complessità, sempre maggiore, delle dinamiche sociali ed economiche. Il COVID ha oramai completamente stravolto gli assetti, gli obiettivi, le procedure, le dinamiche aziendali, gli schemi produttivi, la capacità di gestire il personale. Ancora di più, incide sulle prospettive di crescita o di permanenza nel mercato.

 Oggi, più che mai, è necessario avere strumenti adeguati per ottenere un cambiamento efficace e affrontare sfide non più rinviabili. Queste implicano la conoscenza dei fattori essenziali per una trasformazione efficace, per un cambiamento inevitabile e non più procrastinabile. Attraverso lo strumento del Mindset Maps si può avere una costante valutazione del mindset dei propri dipendenti, dei leaders aziendali, del personale che ricopre ruoli cardine nell’impresa. Attraverso un’azione strutturata e sistemica, si arriva alla definizione di quale mindset sia più efficace per affrontare il cambiamento per quel ruolo, quella situazione e quello specifico obiettivo. Successivamente, si è in grado di realizzarlo con efficacia, avendo la possibilità di monitorarne costantemente gli effetti e ottimizzando le proprie risorse.

Logo MindsetMaps International

  1. https://hbr.org/2018/06/leaders-focus-too-much-on-changing-policies-and-not-enough-on-changing-minds
  2. Uno dei primi studi sistemici sul mindset è quello effettuato dalla psicologa e ricercatrice Carol Dweck, pubblicato nel 2006  in “Mindset: The New Psychology of Success”
  3. THE SUCCESS MINDSETMAP™ (mindset-maps.com)

Il mio mare del Coaching

mare

Quando ho deciso di specializzare la mia formazione come Coach nel settore business, ho immaginato l’impatto che gli strumenti del Coaching avrebbe potuto avere sulle imprese a cui avrei offerto i miei servizi professionali. Mi sono chiesto quali obiettivi, quali bisogni ed aspettative potessero giustificare la richiesta di servizi sulla carta altamente performanti e costosi e nella realtà tutti da verificare*.

Ho cominciato ad interrogarmi e a constatare quanti potenziali clienti, una volta preso contatto con loro, avrebbero chiesto approfondimenti e chiarimenti, quanti avrebbero commentato rispetto alle proprie conoscenze e competenze, quanti avrebbero rinviato ad un successivo appuntamento, quanti avrebbero, elegantemente o meno, sorvolato e avrebbero lasciato passare oltre.

Ho analizzato il mercato, i competitor, i leaders più o meno riconosciuti, i loro modelli di Coaching, i trend, le promesse e le certezze. Ho studiato l’evoluzione economica e sociale legata al mio territorio, quella più generale, i possibili sviluppi.

Ho provato la stessa sensazione che mi accompagna dalla mia prima infanzia. Seduto sulla spiaggia, col mare scintillante di fronte, confrontarmi con quell’infinità, consapevole che la notte anche lui diventa nero ed impenetrabile, che quel luccichio effervescente può cambiare repentinamente in tempesta, che dentro ha la vita e la morte, che ti porta dove vuoi andare o ti fa affondare quando non ce la fai più.

Perché ancora quella sensazione? Perché sono sempre io, la mia identità e la mia individualità, i miei sogni e le mie passioni, ciò in cui credo e ciò che allontano da me. Quella sensazione mi ha accompagnato da sempre e da sempre ho vissuto il mare come una scoperta meravigliosa, pace e serenità, gioia ed emozione, autenticità e allegria, solitudine e sfida. Il mare mi appartiene quanto io appartengo a lui, è la mia metafora di vita e continua a riproporsi.

Ecco ciò che fa la differenza, il valore aggiunto: puoi imparare tante differenti tecniche per nuotare, allenare il fisico, imparare a navigare, viaggiare con l’ultima tecnologia di motore o di chiglia, surfare o immergerti fino alla più grande profondità solo se dentro di te c’è già la passione, il dialogo, la relazione, la voglia di stare in mare.

Dentro di me c’è sempre stato il mare e quando ho capito che c’è sempre stato anche il Coaching ho sorriso. So chi sono e cosa posso fare, per me e per chi mi incontrerà tra le sue onde.

Ieri, durante un incontro con altri Coach che hanno fatto con me un pezzo della stessa rotta, Coach di diverse nazioni e differenti realtà sociali e culturali, ci si è confrontati sulla percezione del futuro, delle possibilità e delle soluzioni per superare un momento di crisi che ovunque ha lo stesso colore e lo stesso crescente peso. Abbiamo parlato delle nostre speranze e della nostra visione, in particolare di quella che abbiamo nei confronti del nostro lavoro con gli imprenditori, con le aziende, con i professionisti. Ho presentato la mia:

“I see a future of prosperous and collaborative organizations and ventures, where entrepreneurs and leaders become and remain aware over time of who they are, for whom and for what they are, what they have and what they can generate and give to the world around them and beyond. I see these entrepreneurs and leaders building together an enlightened road in which competition and exploitation become harmonious cooperation and growth for their environment, for their community, for peoples and nations, so that those who ask can find and those who offer, through their work and activity, can realize their full potential.”

“Vedo un futuro di imprese ed organizzazioni prospere e collaborative, in cui gli imprenditori ed i leaders prendono coscienza e si mantengono consapevoli nel tempo di ciò che sono, ciò per cui sono, ciò che hanno e ciò che possono generare e dare al mondo intorno a loro e oltre. Vedo questi imprenditori e leaders costruire insieme una strada illuminata in cui mentre si cammina la competizione e lo sfruttamento diventano cooperazione e crescita armonica per il proprio ambiente, per la propria comunità, per i popoli e le nazioni, affinché coloro che chiedono possano trovare e coloro che offrono, attraverso il proprio lavoro e la propria attività, possano realizzare pienamente il loro potenziale”

Mi sono sentito ancora una volta seduto sulla spiaggia, quella del mare come quella del Coaching. La sensazione è sempre la stessa, l’emozione rinnova sé stessa. So cosa mi ha portato in questi ultimi cinquanta anni e continuo a sorridere.

* (tanti hanno già felicemente verificato, io lo so e lo tengo per me!)

Il sole di un nuovo giorno

La consapevolezza e la gratitudine creano la nostra realtà.

Da qualche giorno si è concluso a Milano l’evento di Coaching previsto nel percorso “I AM, Essere è una scelta” che ha assorbito gran parte del mio tempo in quest’ultimo anno. È stata un’esperienza formidabile, ricca di emozioni e di soddisfazioni, di crescita, di relazioni e scoperte, di amore ed amicizia. È stato il meglio di ciò che pensavo, di ciò che immaginavo, perché è diventato realtà.

Dal profondo ringrazio Alessia Mortilla e l’Istituto The Mind of The Child che mi ha permesso di essere protagonista in questa avventura. Ad Alessia va anche il mio ringraziamento per ciò che sono diventato in termini professionali, come Coach e come formatore, così come in termini profondamente umani come persona, nella sua interezza, e come essere nella sua infinita complessità e straordinaria unicità.

Ora si aprono per me nuovi orizzonti, un cammino differente che mi porterà al raggiungimento di tante altre mete. Per me come individuo; per Laura, Carola e Francesca e per coloro con cui avrò l’opportunità di operare e di crescere, rendendo agli altri ciò che è stato dato a me.

La consapevolezza e la gratitudine creano la nostra realtà. La consapevolezza di ciò che è stato, di ciò che è e di ciò che sarà è il motivo per cui condivido questi pensieri, le mie speranze e le mie certezze con voi che mi avete seguito fin qui. Per questo, la gratitudine che provo ora è anche per voi che, con un semplice pensiero, siete nella mia vita per darle colore e luce.

Mi piacerebbe, ma non posso

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Ormai ho perso la percezione di quante volte ho sentito questa frase, detta da centinaia di persone, detta con le stesse parole, con la stessa intonazione. È un’intonazione diversa da chi la dice al posto di “non mi piacerebbe, ma non voglio deluderti”.

Mi piacerebbe, ma non posso” è quando la mente vede, sente e percepisce il risultato: lo desidera, lo verrebbe raggiungere, rendere reale. Ecco. Mi piacerebbe. L’utilizzo del condizionale rivela il mondo interiore.

Mi piacerebbe… e un cristallo, come una vetrina o un acquario, separa ciò potrebbe essere da ciò che sarà. Si materializza la barriera, il muro, l’ostacolo. A volte cambia, a volte è lo stesso. Per tanti è lo stesso.

Mi piacerebbe, ma… La mente vede, sente e percepisce il risultato che si allontana, sfuggente, etereo e impossibile. Prima del risultato c’è qualcosa di indesiderato e offensivo, triste e frustrante; a volte impenetrabile, a volte talmente avvolgente da non poterne più uscire.

Non posso… Svanisce ogni cosa, ogni desiderio, ogni speranza. Ora, in questo momento, in questo preciso momento della vita in cui voglio, non posso.

Cosa rende impossibile ciò che ci piacerebbe? Perché mai dovrebbe piacerci l’impossibile? Proprio perché è impossibile? Se fosse possibile ci piacerebbe allo stesso modo?

Al di la del dato statistico, ciò che mi ha molto colpito è che no, ciò che piace è quasi sempre ciò che potrebbe essere possibile. Ho continuato a chiedere alle persone cosa rendesse impossibile raggiungere quel particolare risultato e, praticamente e per ciascuno, è qualcosa che veramente potrebbe essere. Richiede sforzi, fiducia, lavoro, pazienza, attenzione, rinunce, costanza, azione, accettazione, volontà, ascolto… una di queste, molte insieme, altre differenti. Tutte, e proprio tutte, possibilmente utilizzabili, tutte disponibili e sufficienti in ciascuno.

Eppure, tutte non completamente utilizzate, qualcuna lasciata in un angolo della memoria (quando avrei potuto), qualcuna invisibile fino a quando la semplice domanda “cosa ti servirebbe?” la illumina e ne rende possibile la percezione.

Davanti all’evidenza che l’impossibile è invece possibile, tanti continuano a tornare indietro. Il muro si è sgretolato, l’acquario si è trasformato in un limpido mare in cui immergersi. Con un grande sforzo, poderosa fiducia in sé, lavoro certosino, pazienza, cura e attenzione, pervicacia e volontà ricostruiscono il muro, riposizionano l’ostacolo che loro stessi hanno superato, mentre si rinchiudono dentro l’acquario che li lascia fuori dal mondo. Desiderano che ciò che hanno sentito per loro possibile, ritorni ad essere impossibile; come se ottenerlo significasse perdersi.

Con un grande sforzo dichiarano che non sono capaci di fare sforzi, con pazienza descrivono e analizzano la propria impazienza (che per loro è ciò che li caratterizza), mentre con una volontà ferrea vogliono dimostrare di essere privi di volontà, con una cieca fiducia affermano che non ci si piò fidare, con una costanza infinita si ripetono di essere scostanti e inaffidabili.

Pochi riescono a guardarsi mentre giocano a questo gioco interiore e, facendolo, imparano a riderne di gusto. A tuffarsi nel mare limpido e a riprendersi la vita che vogliono.

Mi piacerebbe, e quindi è per me! Ora, in questo preciso momento della vita in cui voglio, posso.

E così sia.

Il destino di essere se stessi

metafora

La sofferenza di tante persone è nel sentirsi non adatte al mondo in cui vivono.
Fanno grandi sforzi ed immensi sacrifici per adattarsi ed essere accettati, apprezzati, considerati, accolti.
Stranamente, continuano a sentirsi sofferenti e non sanno il perché.
Pochi tra loro si accorgono che il mondo intorno non è quello che vogliono, che lo ritengono malato, ingiusto, indifferente.
E scoprono che la loro vera sofferenza è non essere stati se stessi per troppo tempo, impegnati a farsi accettare, apprezzare, considerare, accogliere.
Appena ritornano ad essere coloro che sono sempre stati e che sempre saranno, la sofferenza scompare e, anche se il mondo intorno a loro rimane malato, ingiusto ed indifferente, loro sono felici.
E, senza saperlo, cambiano il mondo.

Che cosa fa la differenza nei servizi di Coaching?

Fare la differnza

Le persone, tutte le persone, si pongono degli obiettivi, vogliono raggiungere dei risultati. Tutte le persone vogliono trasformare i propri desideri in realtà.

Alcune pensano di riuscirci, altre che sarà difficile, altre che sarà molto difficile, altre ancora che sarà impossibile e vivono una vita fatta di desideri irrealizzati e di realtà indesiderata.

Cosa desideriamo che è impossibile da realizzare? E perché lo desideriamo?

Qualcuno desidera cose per sé impossibili proprio perché così è certo che non potrà raggiungere l’obiettivo. Questo rende insoddisfatti ma certi; certi anche che non sarà necessario sforzarsi, né lottare, né faticare. È un modo per stare “comodi” nella propria zona di comfort, in ciò che non piace ma che conosciamo talmente bene che ormai è “per noi”.

Utilizzare le tecniche del Coaching è molto utile per rendere definiti gli obiettivi, per farli percepire come raggiungibili e desiderati. Serve per capire se “ci stiamo ingannando” nell’inseguire qualcosa che in effetti non ci appartiene e non ci apparterrà neanche quando la conseguiremo. Serve per fare chiarezza e approfondire ciò che in noi ci spinge a desiderare e a fare per ottenerlo.

Bello e utile. Ed è sempre così? Anche no.

Quando si interviene sulle percezioni, sugli stati d’animo e sulle sensazioni, può capitare, se si è insufficientemente preparati, che ciò che sembra risolutivo o appagante, col tempo ritorni ad essere superfluo o insignificante; qualche volta, purtroppo, anche indesiderato o doloroso.

La prima differenza tra un servizio di Coaching erogato con uno standard di qualità e uno erogato “a sentimento” sta proprio nella durata degli effetti nel tempo e nella consistenza dei risultati raggiunti.

Una cosa è far percepire il miglioramento, altra è far raggiungere l’obiettivo. Una cosa è far intuire e far fare il passo successivo, altra far percorrere l’intero cammino verso la vetta.

Nel momento presente entrambi gli effetti sono positivi e motivanti, fanno percepire la possibilità di poter essere ciò che si desidera essere e raggiungere ciò che si desidera ottenere.

Poi, in un tempo più o meno lungo, non solo si perde questa percezione, ma addirittura si mette in dubbio la strada intrapresa rispetto al fatto di sentirsi invece ancora più motivati e sicuri di ciò che si è scelto.

Questa differenza emerge con sempre maggiore forza in un mercato in cui il Coaching si sta diffondendo sempre più rapidamente. Da cosa dipende? Sola dalla qualità del Coach? Dalle tecniche utilizzate? Anche dalla tipologia degli obiettivi scelti? Che cosa fa veramente la differenza?

Innanzi tutto, la profonda conoscenza della materia, non solo delle tecniche o delle procedure. Un grande amore per ciò che si fa, tanto che “lo farei a me stesso o alle persone a cui tengo di più”.

Poi il rispetto per l’interlocutore, rispetto che nasce dalla chiarezza di ciò che si propone, di come realizzarlo, condividendo passo passo tutti gli aspetti, illustrando le possibili difficoltà, sostenendo gli sforzi e i passi incerti.

Ancora, l’essere congruenti tra ciò che si dice di essere e ciò che si è, tra ciò che si propone di fare e ciò che si fa. Allo stesso tempo è necessario il rispetto delle regole e delle norme, della professionalità e del modo con cui si esercita.

Quando tutto questo è fatto nell’ottica di garantire uno standard qualitativo riconosciuto e certificato, allora si comincia a fare la, sostanziale, differenza. Ed è ciò che fa la differenza che rende un’iniziativa un successo o un fallimento. È ciò che fa la differenza a tenere aperta un’azienda o a dichiararla fallita. È ciò che fa la differenza a stabilire se un Coach merita di essere ingaggiato o allontanato. Fare la differenza fa la differenza. Perché è ciò che ci rende differenti il motivo per cui diventiamo unici e irripetibili. Ed è ciò che le persone, tutte tutte, vorrebbero essere…

Come ci si accorge di aver raggiunto il risultato desiderato?

Potrebbe essere una domanda banale, per qualcuno fuori luogo. Eppure capita spesso di non accorgerci che ciò che volevamo lo abbiamo già conseguito o che pensiamo di aver finalmente ottenuto un risultato per poi accorgerci che in effetti “ci manca ancora qualcosa”.

Mi è capitato diverse volte di vedere un corridore arrivare sulla linea del traguardo con le braccia alzate in segno di vittoria poco prima che qualcuno lo informasse che mancava ancora un giro; al contrario, un altro che continuava a correre quando la gara era finita.

La percezione di aver raggiunto il risultato è legata alla definizione precisa di quale sia il risultato che vogliamo veramente raggiungere. Voglio guadagnare di più, voglio dimagrire, voglio riposare… Quanto voglio guadagnare di più per avere la percezione che sto guadagnando di più? Mi basta 1€, 100€ al giorno, 50.000€ all’anno? Quanti chili devo perdere per sapere che sto dimagrendo? Tre etti in un mese? Due chili in due settimane? E poi? Quante ore devo riposare per sentirmi riposato? E bastano quelle ore? Cambia la qualità del riposo e con lei la percezione di quanto mi senta riposato? E se il risultato fosse “voglio essere felice”?

Può capitare che le nostre energie siano impegnate in maniera poco efficace proprio perché utilizzate per raggiungere un risultato “indeterminato”?

In tante sessioni di coaching mi è capitato di lavorare sugli obiettivi personali per trasformarli in risultati e la sorpresa, piacevole e potenziante, che leggo nelle persone che finalmente riescono a comprendere da cosa nasce la propria insoddisfazione nell’ottenere risultati e percepirli insoddisfacenti, è la mia personale percezione del successo. Con il Coaching si può!

Cambiare per essere ciò che si è già.

Insomma, potrebbe essere qualcosa di contorto e contraddittorio. Se sono già, perché dovrei cambiare? Ciò che sono è ciò che voglio essere? Sarò mai colui che voglio essere o sarò sempre diverso da chi vorrei essere?

Il tema sembra impegnativo e soprattutto talmente intimo che ci sarebbe da chiedersi  “a chi potrebbe interessare se non a me stesso”? E se interessa solo a me, che necessità c’è di farne un articolo in un blog che chiunque può vedere?

Ho iniziato da quasi un anno a fare il coach e a incontrare persone sia durante corsi che in sessione per affrontare quei temi che sono proprio in linea con la domanda li sopra.

Il punto è “chi sono?” e anche “chi credo di essere?” e anche “chi vorrei essere?” e anche… Oltre alla percezione che ciascuno ha di se stesso, dobbiamo fare i conti con la percezione che gli altri hanno di noi.

Quante volte ci siamo detti “come fa a non capirmi?”,  “possibile che no si accorga di come sono fatto?”, “con chi crede di avere a che fare?” e anche…

La percezione che gli altri hanno di noi spesso modifica, distorce e confonde la stessa percezione che noi abbiamo di noi stessi. Si tratta di un indice referenziale esterno molto forte, un’attenzione marcata verso l’opinione che abbiamo di noi stessi in rapporto all’opinione che crediamo abbiano gli altri su di noi.

Il bello e che potrebbe capitare che ci facciamo un’idea sbagliata dell’opinione che altri hanno su di noi, ne più e ne meno come spesso abbiamo un’opinione sugli altri che gli interessati ritengono sbagliata.

Quando però abbiamo un’opinione sbagliata su noi stessi, come possiamo rimediare?

E poi, cosa vuol dire sbagliata? Cosa vuol dire rimediare?

Bene, se prima poteva sembrare di essere in un campo incerto e contorto, ora ci ritroviamo in un vero e proprio ginepraio.

La reazione più immediata è lasciare li la riflessione e convincersi di essere perfettamente consapevoli di chi siamo, di cosa vogliamo, felici di avere le nostre contraddizioni e le nostre particolarità e chi se ne frega se gli altri non le capiscono.

Alla fine ci potrebbe anche capitare di ritrovarci con una gastrite o piantati in asso o abbindolati da qualcuno che pensavamo fosse amore ed era un calesse.

Se ci fosse al mondo solo una sola persona che varrebbe la pena conoscere a fondo e rispettare e aiutare e incoraggiare e stupire, bene… quella persona siamo noi stessi. Eccesso di egocentrismo? Narcisismo elevato a potenza?

Semplicemente, ignorando chi siamo, saremo incapaci a comprendere chi sono gli altri perché ignoreremo cosa cercare negli altri per capire chi e come sono. Ignorando chi siamo saremo capaci di fare ciò che vogliamo? E non raggiungendo i risultati che ci prefiggiamo, saremo sempre noi stessi o diventeremo qualcun altro?

L’esperienza come Coach si unisce in me all’esperienza fatta nei gruppi giovanili, nella professione, nella politica, nelle relazioni interpersonali e riproduce sempre uno stesso schema.

Ciò che vogliamo essere è dentro di noi da sempre e, qualche volta in silenzio e qualche volta a urla, ci spinge a diventare ciò che vogliamo essere. Ma questo non basta, perché intorno a noi lasciamo che un poderoso insieme di eventi e persone mettano in pericolo quel percorso verso l’essere chi vogliamo essere.

Molto spesso diventiamo qualcun altro e qualche volta qualcuno che neanche ci piace.

Ecco che arriva il primo passo di un percorso che ci porta ad essere felici nella vita: cambiare per essere ciò che si è già, ciò che si è nel nostro cuore, nei nostri desideri, nelle nostre speranze. Quando riusciamo ad essere quella persona, cominciamo a percepire diversamente le difficoltà, le scelte, le relazioni, il fare, il desiderare.

Coaching: un grande strumento; Coach: una bella professione!